Autore : GUIDODE- Titolo : Domani...
DOMANI… “Cosa farò domani? Che ne so… io vivo alla giornata“. L’altro taceva. “Non è che non mi piaccia parlare, ma detesto certe domande” continuò il primo. “Per me è già molto avere qualcosa da mettere nello stomaco. Domani saremo ancora vivi. Poi si vedrà”. “Come ti chiami?” chiese l’altro. “Giuseppe, Carlo, Giovanni… qual è che ti piace di più? Per un po’ sono stato Alessandro, poi mi sono stancato. È parecchio che non ho un nome. Per te, potrei essere Aldo, o Luigi. Che te ne pare?” “Io mi chiamo Angelo” disse l’altro. “Mi piace il mio nome”. “Se hai anche intenzione di dirmi da dove vieni, risparmia il fiato, non m’interessa. Ci siamo incontrati per caso, abbiamo un po’ di patate arrostite, qualche mela e cartoni per dormire al caldo. Accontentiamoci”. “Io non mi accontento mai” disse Angelo. “Ho dei progetti per il futuro. Comunque ti chiamerò Aldo. Mi piace di più”. L’altro alzò le spalle. “Per me va bene” disse. Angelo giocherellava con uno stecco nel fuoco acceso tra le pietre messe in cerchio. Erano seduti sull’erba uno di fronte all’altro, sotto un boschetto di robinie, sull’argine del fiume. “Anch’io ho dei progetti” disse Aldo. “Adesso mangerò le patate, una mela e poi a nanna. A meno che la serata non si metta in altro modo”. Angelo lo guardò senza capire. “E domani?” “Te l’ho già detto. Non riesco a pensarci”. Angelo fissava il fuoco che si stava spegnendo. “Domani andrò in città e m’inventerò qualcosa” proseguì. “Un mio amico la sera gira per le strade in cerca di qualche vecchietta sola, le dà una bastonata in testa e le prende la borsetta”. “Sì, e quanto ci ricava?” “Dipende. Anche due o trecento euro”. “Tu lo faresti?” “Non so. Non ho mai sopportato la vista del sangue”. “E allora? Tutti i tuoi progetti?” “Mi metterò davanti alla cattedrale. Oltretutto si sta bene su quella scalinata, al sole. Quando escono di là dopo la Messa, si sentono più buoni e ti danno qualcosa”. “Aspetta e spera. Forse ci farai abbastanza per un panino”. “Meglio un panino e una birra che le tue patate bruciate”. “Ingrato. Senza di me stasera ti saresti messo sotto i cartoni senza niente in pancia”. “Oggi è andata così. Di solito rimedio sempre qualcosa. Per un po’ mi sono fatto prestare un bambino da una che conosco. Solo che adesso se n’è andata. Le hanno dato il foglio di via”. “Potevi tenerti il bambino”. “Ci avevo pensato. L’hanno messo da qualche parte”. “In una casa famiglia?” “Ecco, non mi veniva la parola giusta”. “Così dici che quando vedono un bambino scuciono più facilmente?” “Di solito sì. Alle volte si ferma un rompicoglioni che comincia a dirti “ma non ti vergogni” “perché non è a scuola” “non vedi com’è combinato” e altre cazzate del genere”. “Allora cosa fai?” “Faccio piangere il bambino. Quello si commuove e mette qualcosa nel cappello”. “Non ti denuncia?” “Macché. Sai, c’è tutta la storia di andare in Questura, poi in Tribunale, interrogatori, documenti da firmare, convocazioni del Giudice… se la cavano con cinque euro, o anche meno, e mettono a posto la coscienza”. “Sì, è molto più comodo” convenne Aldo. Era ormai notte sull’argine. La città rombava sorda in lontananza. Nel cielo nebbioso si spandeva il chiarore dei lampioni, delle finestre delle case illuminate, dei fari delle auto che sfrecciavano sull’autostrada, oltre il fiume. Una cappa luminescente che rubava al cielo, quando era limpido, la luce delle stelle. “Fortuna che qui non passa nessuno” disse Angelo, guardandosi intorno. “Aspetta a dirlo. Tra un po’ forse ci sarà movimento”. Angelo guardò Aldo senza dir nulla. Mangiarono le patate arrostite senza sbucciarle. Alla fine avevano le dita nere di fuliggine. Le pulirono sull’erba umida. “Meglio spegnere il fuoco, adesso” disse Aldo. “Perché? Si stava bene al caldo”. “Te l’ho detto. Tra poco ci sarà movimento”. Mezzora dopo si videro i fari di un’auto che veniva avanti piano sull’argine. Erano le ventidue. Si fermò un poco più in là, in uno spiazzo. “Ti va di andare al cinema?” chiese Aldo, sbocconcellando una mela. “Che cinema?” “Vieni con me”. Si avvicinarono furtivi. Accostarono i visi al vetro posteriore dell’auto. Nel buio si vedeva poco. Si accese la luce fioca del retrovisore. Un uomo nudo sul sedile del guidatore armeggiava con qualcosa, chino in avanti. La ragazza si stava spogliando sul sedile già reclinato. “Andiamo via” disse Angelo. L’altro gli fece cenno di aspettare. “Non ti piace il cinema?” disse sottovoce. Quando i due cominciarono a darci dentro, Angelo fu preso da un’eccitazione cattiva, sorda. L’altro gli diede di gomito. “Dai, uniamoci alla compagnia”. Corse verso la portiera e la spalancò. Un coltello apparve nella sua mano. I due si staccarono. L’uomo cercò di avventarsi contro Aldo, ma si beccò una coltellata nel petto. Ricadde sulla donna rantolando. Perdeva sangue come una fontana. La donna era muta per il terrore. “Tocca prima a me” disse Aldo. “Tieni ferma la ragazza”. Mentre Angelo girava intorno all’auto e spalancava la portiera dalla parte della donna, Aldo, dal lato opposto, sollevava l’uomo. Lo tirò fuori a fatica dall’auto e lo buttò sull’erba. L’uomo aperse gli occhi. Era scosso da un tremito. Fece per dire qualcosa. Aldo prima lo prese a calci, poi afferrò da terra una pietra e gliela calò sulla faccia. L’uomo non si mosse più. Angelo aveva messo la sua grande mano sulla faccia della ragazza, per impedirle di urlare. Con l’altro braccio e il peso del suo corpo massiccio la teneva ferma. Distoglieva lo sguardo da quel che si vedeva del suo corpo bianco lordo di sangue. “Spostati” disse Aldo, che era sopraggiunto. “Tocca prima a me”. Angelo sollevò la mano. La ragazza aveva la bocca spalancata, il viso bluastro. Era inerte. “È andata” disse Aldo, osservandola da vicino con occhio critico. “Meglio così. Non protesterà. È ancora calda” disse strizzando l’occhio ad Angelo. Quando tutto fu finito, i due si allontanarono. Cercarono un altro rifugio per la notte, in un casolare abbandonato. “Anch’io ho un progetto, adesso” disse Aldo, sogghignando. “Domani sparirò da questa città. Domani…”